SANT'ANTONIO ABATE - 1438
Il primo nucleo degli edifici che costituiscono attualmente il complesso di Sant'Antonio Abate sorse nella prima metà del Trecento quando gli Antoniani, da poco giunti a Milano, furono chiamati a reggere l'ospedale fondato per legato testamentario da Ruggero del Cerro nel 1127 per assistere gli ammalati di "fuoco sacro". Sostenuto dalla benevolenza dei Visconti, l'ordine si prodigò per quasi un secolo soccorrendo quanti venivano colpiti dal morbo; in seguito, diminuita l'aggressività del male, i frati vennero più volte impiegati in attività diplomatiche ai servizio dello stato milanese. Le continue controversie con il clero di San Nazaro, chiesa dalla quale dipendevano, provocarono il loro progressivo declino culminato quando Francesco Sforza decise di fondare l'Ospedale Maggiore, nel quale dovevano essere concentrati tutti gli ospedali esistenti in città e nei sobborghi, compreso quello di Sant'Antonio. La soppressione divenne ufficiale con un decreto di papa Nicola V del 1452, nel quale si stabiliva anche che la chiesa e i suoi beni venissero dati in commenda. Primi commendari ne furono i Landriani ai quali successero i Trivulzio che mantennero la commenda sino ad oltre la metà del Cinquecento.
A testimonianza di questo primo periodo della storia di Sant'Antonio restano ancora il campanile e i due chiostri. In mancanza di fonti documentarie non è possibile stabilire con sicurezza il periodo durante il quale vennero realizzati, ma si tratta certamente di due interventi successivi. Più antico è il campanile dalla caratteristica struttura quattrocentesca, la cui costruzione faceva comunque parte di un più ampio intervento di ristrutturazione comprendente anche la chiesa. Considerato il declino, anche economico degli Antoniani nel corso del ...V secolo, è improbabile che s'impegnassero in un'impresa di così vasta portata; sembrerebbe al contrario possibile che i nuovi commendatari intervenissero promuovendo il rinnovamento dell'edificio.
Ai Trivulzio spetterebbe invece l'erezione del portico in cotto del primo chiostro che, dal confronto con altre terracotte milanesi può essere datato ai primi anni del XVI secolo. La stessa famiglia commissionò gli affreschi con Storie della creazione (oggi al Castello Sforzesco) e ordinò nel 1565 a Bernardino Campi una tavola raffigurante la Madonna con il Bambino e i santi Paolo, Barbara e Giovannino che ancora oggi si trova su una parete laterale della cappella ora dedicata all'Immacolata (seconda a destra).
All'inizio del Seicento alla Tavola venne aggiunta la parte superiore con una corona di angeli ad opera di Camillo Procaccini, intervento che è da mettere in relazione con nuovi lavori di ristrutturazione della chiesa e con la necessità di adattare la pala alla cappella dove venne collocata.
Nel 1575 un breve di Gregorio XII soppresse la commenda e nel 1577 i chierici Regolari Teatini, chiamati a Milano anni prima dal cardinal Borromeo, entrarono in possesso della chiesa e del convento. La congregazione aveva avuto una prima casa presso Santa Maria di San Calimero fuori Porta Romana, ma l'abnegazione dimostrata nel soccorrere gli ammalati durante la peste del 1576, spinse San Carlo ad appoggiarli affinché ottenessero una sede più centrale e più ampia.
Pochi anni dopo, nel 1584, l'architetto Dionigi Campazzo (e non il Richini come erroneamente indicato nelle vecchie guide), venne incaricato della ricostruzione della chiesa inglobando l'antica ed ampliandola sino ad occupare la piazza antistante. L'edificio assunse così la sua struttura definitiva: la pianta è a croce latina con un'unica navata sulla quale si aprono tre cappelle per lato e coperta da una volta a botte, un breve transetto e un profondo coro a pianta rettangolare. Sia nell'articolazione dello spazio che nella scelta dei singoli motivi architettonici, il Campazzo mostra qui di aderire a quella tipologia della basilica della Riforma così come si era venuta definendo in quegli anni che aveva avuto proprio a Milano la sua prima formulazione da parte dell'Alessi in San Barnaba. Conclusisi i lavori di architettura si cominciò a pensare alla decorazione dell'interno che molto probabilmente iniziò dalla cappella delle reliquie, nel transetto di sinistra, per intervento della famiglia Trivulzio che ne aveva mantenuto il patronato. Venne così eretto l'altare nel quale furono riunite le reliquie venerate in chiesa e quelle della Santa Croce portate dai Teatini; il reliquiario è nascosto da una tela raffigurante Cristo che porta la croce, copia da Palma il Giovane. Alle pareti furono poste l'Incoronazione di spine di Alessandro Maganza e la Flagellazione di un anonimo artista toscano, entrambe datate fine XVI secolo.
Fu però durante il Seicento, in coincidenza con il periodo di massima fioritura dell'ordine, che si ebbero gli interventi di maggior rilievo all'interno della chiesa sino a completarne la decorazione.
Nel 1609 Ludovico Acerbi, giureconsulto, stipulò una convenzione con i padri dalla quale, fra l'altro, risulta che aveva già ottenuto la facoltà di erigere nella chiesa una cappella a proprie spese e che la stessa era già in costruzione; gli si concedeva inoltre di ornarla con pitture, stucchi e marmi secondo il progetto già stabilito. La cappella Acerbi, o dell'Annunciata, seconda a sinistra, venne completata probabilmente nel 1612. L'altare di impronta ancora tardo cinquecentesca è opera giovanile di A.M. Corbetta, mentre le tele raffiguranti l'Annunciazione, sull'altare, la Visitazione e la Fuga in Egitto alle pareti laterali, e l'Eterno, tela a tempera, sulla volta si devono a Giulio Cesare Procaccini; allo stesso è da attribuire il quadro con Tre Angeli sopra la volta. Simonetta Coppa (1981) propone di datare l'esecuzione dell'intero ciclo tra il 1610 e il 1611, cioè subito dopo la posa in opera dell'altare. La stessa studiosa, dopo aver indicato, concordemente con il resto della critica, nei quadri della cappella Acerbi l'evolversi del linguaggio del Procaccini "verso ritmi compositivi più morbidi, caratterizzati da più fuse e sottili avvolgenze chiaroscurali, dall'allungamento delle figure secondo moduli emiliani e dall'impreziosirsi in scintillanti iridescenze della gamma cromatica", ha messo in evidenza gli stretti legami che uniscono queste opere con "la cultura figurativa dei quadroni del Procaccini per il Duomo milanese". Ha infine proposto di attribuire al pittore, in gioventù attivo anche nel campo della scultura, gli stucchi che decorano l'intradosso dell'arco di accesso alla cappella. Una convenzione analoga a quella stipulata con l'Acerbi intercorse nel 1610 tra i Teatini ed Emanuele Dal Pozzo, presidente del Magistrato Ordinario e regio ducale, consigliere, per l'erezione della cappella nel transetto di destra o dell'Ascensione. Il Dal Pozzo provvide a far eseguire la decorazione pittorica e a stucco e il progetto architettonico dell'altare sul quale venne collocata l'Ascensione di Giovan Battista Trotti, detto il Malosso. All'incirca in questo stesso anno furono commissionate le altre tele che ornano le pareti della cappella: a sinistra la Resurrezione del Cerano e a destra la Venuta dello Spirito Santo del Vajani. A quest'ultimo possono essere attribuite anche la Circoncisione, l'Incoronazione di Ma ria e la Trasfigurazione, databili al medesimo periodo e situate nella volta della stessa cappella. Pochi anni dopo venne sistemata nel transetto di destra anche una Natività di Ludovico Carracci eseguita tra il 1611 e 1612, mentre è datata 1612 e firmata Enea Salmeggia la Cattura di Cristo nel transetto di sinistra.
Da documenti d'archivio risulta che ancora nel 1610 la contessa Olimpia Trivulzi promosse l'abbellimento del coro; con il suo intervento vengono messi in relazione la decorazione a fresco da parte del Moncalvo con Storie dei santi Antonio abate e Paolo, i medaglioni con putti e la tela raffigurante Sant'Antonio di Camillo Procaccini collocata al centro. Di poco successivi agli affreschi del coro dovrebbero essere anche quelli nella volta del transetto di sinistra, anch'essi attribuiti al Moncalvo, ma per i quali non abbiamo alcuna indicazione documentaria. In seguito, dopo il 1616, vennero posti ai lati delle finestre del coro due quadri di Fede Galizia: un Sant'Antonio e un San Paolo eremita. Della stessa pittrice era anche un San Carlo che porta la croce, in origine collocato sulla parete di destra della chiesa, accanto alla porta che dava verso il cimitero, ed ora passato presso il museo del Duomo.
L'opera prestata dai padri durante la peste del 1629- 1630 valse loro la riconoscenza dei cittadini, espressa con generose donazioni che permisero al padre Alessandro Porro, eletto nel 1630 preposito della casa milanese, di commissionare la decorazione ad affresco della volta della navata e di quella centrale del transetto. L'opera, eseguita tra 1631 e 1632, venne affidata ai fratelli genovesi Giovanni e Giovan Battista Carloni che vi raffigurarono le Storie della croce, tema tipicamente teatino, secondo un programma iconografico complesso probabilmente dettato da uno dei padri, forse lo stesso Porro.
Sulla volta della navata sono raffigurati i tre momenti principali della leggenda della Croce: La Croce appare a Costantino, La prova della vera Croce ed Eraclio riporta la Croce a Gerusalemme, mentre al centro del transetto è rappresentato il Trionfo della Croce con ai lati, entro riquadri trapezoidali, quattro storie dell'Antico Testamento che alludono al sacrificio della Croce. Le diverse scene sono inquadrate da stucchi dorati che si prolungano anche sulle pareti delle navate del transetto e del coro, eseguiti contemporaneamente agli affreschi, con ogni probabilità, da un artista attivo nell'ambito stesso del cantiere dei Carloni. Per quanto riguarda gli affreschi è difficile ricondurre alla mano di uno o dell'altro dei fratelli singoli riquadri, stante il carattere sostanzialmente omogeneo del l'intero ciclo; si vuole però attribuire a Giovanni la decorazione del transetto e a Giovan Battista quella della navata.
Questo ciclo di affreschi costituisce per Milano un esempio precoce di un genere di decorazione "i cui tratti distintivi sono la teatralità, l'illusionespaziale, il pathos dei gesti, l'efficacia emotiva immediata delle rappresentazioni, al di là dei significati concettuali spesso elaborati: elementi tutti che indicano un orientamento tendenzialmente barocco che si fa strada a Milano attraverso gli apporti della 'grande decorazione' genovese" (Coppa, 1981).
Successiva al 1630 è anche la decorazione della volta della cappella dell ' Ascensione, nel transetto di destra, attribuita a Tanzio da Varallo che vi dipinse Cristo in gloria tra gli angeli. Alla sua mano possono essere ricondotte anche le due figure di profeti con cartigli ai Iati del finestrone. La mancanza di testimonianze documentarie non ci permette di stabilire una datazione più precisa per questo intervento né di indicar-ne il committente.
Nel 1637 pervennero alla chiesa, in seguito alla donazione di un certo Ercole Bianchi, la Natività di Maria e la Madonna con il Bambino di Ambrogio Figino. Quest'ultima è conosciuta anche come Madonna del Serpe ed era stata commissionata nel 1582- 1583 per la chiesa di San Fedele. Quando giunse in Sant'Antonio venne collocata sopra la porta che conduceva al cimitero, mentre ora si trova nell'attiguo oratorio dell'Immacolata.
La Natività di Maria fu invece sistemata nella seconda cappella di destra, allora intitolata alla Beata Vergine del Suffragio, accanto alla tela di Bernardino Campi. Per questa cappella era stata commissionata a Napoli una statua lignea della Vergine che giunse più o meno contemporaneamente alla donazione del Bianchi e che venne collocata sull'altare dove rimase sino a tutto il Settecento. In un'epoca imprecisata, ma sicuramente dopo l'occupazione francese, venne sostituita con quella del Rusnati proveniente, con altre statue che decorano l'altare, dall'attiguo oratorio dell'Immacolata. Al contrario di quanto accadde per le altre cappelle di Sant'Antonio, in questa manca un discorso unitario tra parte architettonica e decorazione perché vennero realizzati in tempi diversi. Infatti nel 1656 la cappella passò in patronato a Giuseppe Diviziolo che promosse la ricostruzione dell'altare affidandone il disegno all'architetto Carlo Buzzi; il suo aspetto venne ancora modificato nel XIX secolo quando, come abbiamo detto, vi giunsero le sculture del Rusnati.
Nel frattempo, essendosi compiuta la gran parte dei lavori di decorazione, venne celebrata la consacrazione solenne della chiesa officiata nel 1654 dal padre Porro.
Contemporaneo all'intervento nella cappella del Suffragio fu l'inizio dei lavori per la sistemazione di quella di san Gaetano da Thiene resa possibile da un lascito di Gerolama Dardanona Rho del 1657. Un altare dedicato al santo fondatore della Congregazione esisteva sin dall'inizio del XVII secolo e della sua prima sistemazione faceva probabilmente parte la tela del Cerano raffigurante l'estasi del beato Gaetano, databile al primo decennio del 1600, tuttora nella cappella. I lavori per questa sistemazione si protrassero a lungo anche per contrasti sorti tra i Teatini e gli eredi della nobildonna. AI 1659 risale il tabernacolo in marmi e pietre di pregio trasferito nella cappella del Suffragio dopo le soppressioni settecentesche, mentre nel 1663 risulta terminato l'altare eseguito su disegno di Gerolamo Quadrio, al quale è probabilmente da riferirsi anche l'impianto dell'intera cappella dove i lavori di architettura terminarono attorno al 1674. Un nuovo impulso alla sistemazione era venuto dalle feste per la canonizzazione di san Gaetano celebrate nel 1671 e per le quali vennero realizzati quadroni di modesta qualità raffiguranti Miracoli ed episodi della vita del santo; di questi ultimi se ne conservano ancora dieci: sei nella casa del rettore e quattro nell'antisagrestia. Completata la struttura architettonica venne affidato a Giuseppe Rusnati il compito della decorazione scultorea della cappella. Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta lo scultore eseguì le statue della Fede e della Provvidenza nelle nicchie delle pareti, i putti sulla cimasa dell'altare e gli angeli reggimensa tra i quali è collocato il rilievo con la Morte di san Gaetano.
Al 1683-1689 sono invece databili le sei medaglie raffiguranti episodi della vita del santo, dove il Rusnati adotta un modellato fluido e pittorico e compone le scene secondo i ritmi compositivi ormai settecenteschi.
In quegli stessi anni la Confraternita dell'Immacolata iniziò la costruzione di un oratorio contiguo alla chiesa e con essa comunicante che potesse ospitare le proprie adunanze. L'opera fu possibile grazie ai fondi raccolti tra i confratelli, per la maggior parte di famiglia nobile, e utilizzando un lascito di Camillo de' Grassi per la cappella che sorgeva nel cimitero, sulla cui area venne poi eretto l'oratorio. La costruzione iniziò nel 1683 secondo il progetto steso da Andrea Biffi che prevedeva un edificio ad unica nave con abside rettangolare di impronta marcatamente classica.
Tra il 1686 e il 1689 l'oratorio venne completato con la realizzazione dell'apparato decorativo. La parte principale di questo era costituita dall'altare il cui progetto architettonico venne affidato a Cesare Fiori, mentre per le sculture si richiese l'opera del Rusnati attivo in quegli anni nella cappella di san Gaetano. Della complessa struttura decorativa dell'altare, non restano ora che i due gruppi principali dell'immacolata e del Cristo morto e due putti reggiceri in marmo verde, trasferiti nella cappella della Beata Vergine del Suffragio. Infatti con la soppressione del 1798 l'altare maggiore fu smantellato e l'oratorio, dopo essere stato spogliato degli arredi, venne adibito ad usi civili. Tra la fine del Seicento e i primi del Settecento venne rinnovata anche la cappella di sant'Andrea Avellino che si apre di fronte a quella di san Gaetano. II santo, primo preposto della casa milanese, venne canonizzato nel 1712 e alla celebrazione dell'evento è da mettere in relazione l'intervento nella cappella che comprese le due tele laterali di Filippo Abbiati, gli angeli sul coronamento dell'altare attribuiti al Rusnati e l'architettura dell'altare stesso per la quale non sono state rintracciate più precise notizie d'archivio. Anteriore al rinnovamento è invece la pala di Francesco Cairo raffigurante lo svenimento del beato Andrea Avellino, che come l'altro quadro del pittore (il sogno di Elia) nel transetto di destra, è databile attorno al 1630.
Nel corso del XVIII secolo, non si ebbero più interventi di rilievo al l'interno della chiesa in conseguenza anche della diminuita popolarità della Congregazione Teatina e dell'inevitabile declino economico. Con la soppressione napoleonica, la chiesa venne chiusa al culto e trasformata in magazzino militare con gravi danni agli arredi e alle pitture; il convento divenne la sede della Guardia Nazionale sino all'arrivo degli austriaci che vi insediarono il Tribunale militare e gli uffici di polizia.
Nel 1814 in una parte dei locali venne sistemato il carcere al quale fu affiancata, pochi anni dopo, la Pretura militare che vi ebbe sede per quasi un secolo. Nel frattempo la chiesa era stata riaperta al culto come sussidiaria di San Nazaro; per l'occasione vennero eseguiti lavori di ripristino che si estesero, nel 1832, al rifacimento della facciata per opera di Giacomo Tazzini.
Il primo restauro generale della chiesa e del convento si ebbe solo nel 1903 e venne eseguito sotto la direzione di Cesare Nava. In anni recenti l'intervento di maggior importanza è stato il ripristino, nelle sole parti architettoniche, dell'oratorio dell'Immacolata.